Quali sono i segreti della pratica?

Eseguire forme complesse senza avere consolidato lo studio che le precede, addentrarsi in personalissime variazioni, indulgere in interpretazioni individuali è stato, è e sempre sarà non solo una grave mancanza di rispetto verso i Maestri che hanno trasmesso l’arte e verso i compagni con cui pratichiamo, ma anche e soprattutto una perdita di tempo che ci porterà, nel migliore dei casi, solamente ad essere capaci di “muovere l’aria” in maniera più o meno aggraziata.
Le discipline orientali sono giunte in Occidente ammantate di un fascino esotico e di un mistero che oscillava tra leggenda e superstizione. Differenti le culture, diversi i linguaggi e le modalità di scrittura, distanze di migliaia di chilometri tra due mondi che solo da poche decine di anni janno cominciato – forse – a conoscersi davvero. Non pochi quindi i fraintendimenti, gli errori, le incomprensioni avvenute a volte in buona fede ed altre volte per un deliberato scopo di mantenere riservate alcune pratiche.

Errori e incomprensioni

Come è facile immaginare, quando si parla della trasmissione di tecniche marziali raramente si ha a che fare con un metodo didattico chiaro, esplicito e comprensibile a tutti; molto più frequentemente invece, l’ammaestramento dei discepoli avveniva tramite un linguaggio particolare di fatto incomprensibile ai non “addetti ai lavori”, attraverso una serie di livelli di approfondimento a cui lo studente accedeva in funzione della fedeltà dimostrata al suo insegnante e sulla base dell’insindacabile giudizio di quest’ultimo, che forniva a ciascuno dei suoi discepoli l’insegnamento che riteneva più adatto, avvenendo così che allievi di pari esperienza di uno stesso insegnante ricevessero una formazione notevolmente differente. 

A questo aggiungiamo il fatto che in molti casi basta cambiare un accento o una lettera per cambiare completamente il significato di una parola, e le incomprensioni si accentuano se consideriamo che in passato il linguaggio era dialettale e bastava spostarsi anche solo di poche decine di chilometri per ingenerare incomprensioni ed errori.

Chi scrive ricorda ancora la erudita interpretazione di un antico manoscritto in versi sciolti in una sorta di dialetto veneto-friulano in cui l’incolpevole studioso tradusse la frase “eo la spada tòre” lanciandosi in fantasiose descrizioni in cui si affermava che l’arma doveva essere posta in una guardia alta e ferma come la robusta torre di un castello, incurante del fatto che tanto il disegno che illustrava la tecnica che il prosieguo della descrizione suggeriva altro; solo l’intervento di un altro praticante padovano chiarì l’equivoco, spiegando che “tòre” ha il significato di “prendere, togliere, levare” e che quindi i versi esaminati non descrivevano una guardia ma bensì un disarmo in cui la spada veniva tolta dalle mani di chi la impugnava.

Tra segreto e riservatezza

Il discorso ci porterebbe molto lontano ed i limiti di tempo e spazio ci costingono alla sintesi, percui ci limitiamo a notare che se questi  equivoci avvenivano – ed avvengono tuttora – nelle botteghe artigiane e nelle scuole d’arte, a maggior ragione si verificavano nell’addestramento marziale, in cui conoscere una tecnica, oppure il modo di neutralizzarla, poteva fare la differenza tra la vita e la morte e la riservatezza era una “conditio sine qua non” per progredire nell’addestramento.

Citiamo un caso per tutti, la “popolarizzazione” delle arti marziali tradizionali che in Cina, nel secolo scorso, venne portato avanti con didattiche completamente diverse tra allievi “interni” ed “esterni”; ai primi veniva trasmessa l’essenza della tecnica, il corretto modo di eseguirla e le sue applicazioni, agli altri veniva insegnata una armonica coreografia, bella a vedersi ma nei fatti assolutamente inefficace.

Se quanto detto sopra è vero, è altrettano vero che c’è un altro aspetto da considerare, per evitare fraintendimenti, inganni  e auto-assoluzioni. Occorre infatti distinguere tra segreto e riservatezza, tra un programma didattico logicamente strutturato in base al livello di abilità e falsi curriculum utili solo ad abbindolare allievi ingenui alla ricerca della “tecnica misteriosa”, puntualmente svelata solo a chi era disposto a pagare profumatamente.

Ogni cosa a suo tempo

Il Maestro Severino Maistrello, direttore didattico della Wudang Fu Style Academy e successore del Gran Maestro To Yu, ricorda spesso che “I segreti si sanno proteggere da soli da chi non li merita”, intendendo con questo che tradizionalmente l’addestramento avveniva fornendo allo studente una serie di strumenti didattiche che poteva e doveva fare propri per apprendere le tecniche dell’Arte. Da che mondo e mondo ben poca strada farà l’allievo che attende passivamente una “illuminazione” che non giungerà mai, mentre il progresso sarà il premio per chi – con costanza, dedizione ed onestà – si impegnerà nell’apprendere ciò che il suo Maestro gli insegnerà. 

Piaccia o non piaccia il segreto per migliorare è sempre e solo nella pratica, e solo nel film Matrix si possono imparare decine di arti di combattimento collegando  con un cavetto il proprio cervello ad un computer. Nel Vangelo di Luca leggiamo che “Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto” e questo è vero anche nelle nostre Arti, se si realizzano le condizioni perché ciò avvenga.

Ecco i segreti!

Allora, nella pratica delle discipline interne ci sono dei segreti? La risposta è si, ma non sono quelli che molti immaginano, e più che di segreti sarebbe opportuno definirli punti importanti;  vediamone alcuni.

L’importanza  dei dettagli. Un proverbio afferma che “Il diavolo è nei dettagli” e così è anche nel Tai Chi Chuam, nel Ba Gua Zhang e nel Qi Gong. Basta una minima variazione per rendere una tecnica inefficace, basta spostarsi di pochi centimetri per mancare clamorosamente un agopunto, basta non eseguire correttamente una parata perché il pugno che avremmo dovuto deviare termini la sua corsa sul nostro naso. Come spesso ci ricorda Sifu Severino Maistrello la tradizionale forma 88 del vecchio stile Fu somiglia molto alla forma 108 dello stile Yang, ma questo è vero solo agli occhi di un osservatore inesperto, perché se la sequenza dei movimenti e la modalità di esecuzione “esterna” può sembrare simile la differenza sta nei dettagli. 

Per cogliere le differenze è necessario – manco a dirlo – una pratica meticolosa ed attenta che consenta un perfezionamento costante. Con buona pace di chi trascorre ore a visionare video su YouTube, l'abilità non può essere raggiunta e la vera essenza di un sistema non potrà essere compresa se i punti chiave non sono chiari, trascurati o non insegnati, così come una porta si apre solo inserendo  la giusta chiave nella serratura.

L’importanza  della formazione costante. Ingenuo o illuso è chi crede che una abilità appresa rimanga tale per sempre; un famoso insegnante paragonava la capacità tecnica all’acqua bollente in un calderone, che deve essere costantemente riscaldata per mantenere la giusta temperatura. Per questo motivo nella Wydang Fu Style Academy gli inseganti riconosciuti e certificati devono partecipare periodicamente a corsi di aggiornamento e verifica per mantenere la qualifica tecnica ed incrementare le abilità acquisite.

In qualunque sistema didattico la conoscenza è frutto della esperienza e l'abilità viene appresa passo dopo passo attraverso un insegnamento che avviene per fasi, seguendo un ordine corretto, sistematico e progressivo. Quando manca un curriculum completo ed un sistema di trasmissione efficace la tecnica rimane fine a s* stessa; molti stili più o meno tradizionali hanno visto arricchirsi il loro catalogo con un fiorire delle forme, ma molti dei loro fondamenti e elementi costitutivi sono andati perduti e le forme rimaste sono vuote e superflue e spesso sono il risultato di un ordine errato di apprendimento e acquisizione di abilità. Da qui l'importanza di un contatto regolare e costante con un insegnante di fiducia.

L’importanza  della "forgiatura". La natura insegna che qualunque progresso ed evoluzione richiede impegno, dedizione e costanza. Pur senza travalicare nel masochistico “no pain no gain” con cui troppo spesso si sono mascherati abusi e bullismo, in determinate fasi e particolari momenti dell’addestramento l'insegnante deve intervenire per modificare la “struttura” dello studente, la sua postura, la sua guardia la sua attitudine. “La spada tocca dove lo scudo non copre” e sicuramente un colpo inferto con sufficiente energia può far comprendere ad un allievo distratto il suo errore più chiaramente e velocemente di decine di ammonimenti verbali.

Ovviamente, perché questo metodo sia efficace, è necessario che la correzione (in qualunque modo questa venga impartita) avvenga quando l’allievo è pronto a riceverla; prima o dopo sarebbe di fatto inutile. Per questo motivo è bene che l’insegnante non lasci troppo “cuocere nel suo brodo” l’allievo che non esegue correttamente una tecnica, ma è altrettanto opportuno che l’insegnante non diventi preda della “sindrome della crocerossina” e si metta a correggere ad ogni piè sospinto il minimo dettaglio, a volte più per gratificare (più o meno inconsciamente) il proprio ego che per rendere un effettivo servizio allo studente. Non a caso il Maestro Severino Maistrello consiglia agli insegnanti di “non correggere troppo”, in modo che l’allievo cosciente impari in maniera attiva dalle proprie esperienze piuttosto che aggiogarsi passivamente alle parole altrui, poiché compito dell’insegnante è ostrare la strada, ma compito dell’allievo è percorrerla con le sue gambe..

Pratica, pratica, pratica!

In tanti abbiamo cercato, nella nostra carriera marziale, di imparare una tecnica in più, di cogliere un particolare, di imparare una routine sconosciuta; in tanti, spesso, abbiamo trascurato di dare ascolto all’ammonimento che ci ricordava l’importanza delle basi pensando che “ripetere sempre le stesse cose” fosse un po’ noioso, in molti avremo giudicato un po’ esagerato il comportamento del M° Ming Wong C.Y. che per molti anni ha ridotto l’insegnamento impartito al M° Maistrello nel controllo della posizione della Montagna. Ciascuno potrà avere le sue buone ragioni e non è certo questo scritto che farà cambiare idea a nessuno, ma la speranza è che – quando verremo presi dalla voglia di correre (metaforicamente!) - si abbia l’onestà di chiedere a sé stessi se siamo in grado di camminare correttamente.

Eseguire forme complesse senza avere consolidato lo studio che le precede, addentrarsi in personalissime variazioni, indulgere in interpretazioni individuali è stato, è e sempre sarà non solo una grave mancanza di rispetto verso i Maestri che hanno trasmesso l’arte e verso i compagni con cui pratichiamo, ma anche e soprattutto una perdita di tempo che ci porterà, nel migliore dei casi, solamente ad essere capaci di “muovere l’aria” in maniera più o meno aggraziata.